Filosofia della scienza: a cosa ci serve?
La filosofia della scienza è una disciplina che, più di altre, ci obbliga a rallentare e a porci domande scomode su ciò che di solito diamo per scontato, per esempio parliamo di scienza pensiamo a dati, esperimenti, numeri, grafici e risultati verificabili.
Ma dietro ogni formula, dietro ogni teoria, esiste una struttura concettuale, un insieme di assunzioni e di limiti che la filosofia della scienza ha il compito di portare alla luce.
Vedremo perché la filosofia della scienza è oggi più attuale che mai, soprattutto in relazione alla coscienza, all’intelligenza artificiale e ai contributi di pensatori contemporanei come Federico Faggin.
Indice dei contenuti
- Che cos’è la filosofia della scienza e perché è fondamentale
- Le radici storiche della filosofia della scienza
- Il Novecento e la crisi delle certezze scientifiche
- Kuhn e i paradigmi scientifici
- La filosofia della scienza di fronte alla coscienza
- Federico Faggin e il contributo alla filosofia della coscienza
- Filosofia della scienza e intelligenza artificiale
- Perché la filosofia della scienza è più attuale che mai
Che cos’è la filosofia della scienza e perché è fondamentale
La filosofia della scienza si occupa di analizzare i fondamenti, i metodi e le implicazioni della conoscenza scientifica, ma non lo fa entrando direttamente nei laboratori o osservando i fenomeni naturali in prima persona, bensì interrogandosi sul modo in cui quei fenomeni vengono studiati, descritti e interpretati.
Si chiede che cosa renda una teoria scientifica davvero affidabile, quali criteri permettano di distinguerla da una semplice opinione ben argomentata e in che modo una spiegazione possa dirsi soddisfacente, andando oltre la mera capacità di prevedere un risultato.
La filosofia della scienza riflette sul rapporto delicato e spesso sottovalutato tra osservazione, ipotesi, esperimento e verità, mostrando come questi elementi non siano mai completamente separati, ma si influenzino a vicenda in un dialogo continuo.
Ogni osservazione è già, in parte, guidata da un’idea, ogni esperimento è progettato sulla base di un’ipotesi preliminare e ogni risultato viene interpretato alla luce di un modello teorico che ne orienta il significato.
La filosofia della scienza nasce proprio dall’esigenza di comprendere i confini della scienza stessa, di capire dove finisca la descrizione rigorosa dei fenomeni e dove inizi l’interpretazione, spesso implicita, che li rende intelligibili.
Ogni disciplina scientifica opera infatti entro un quadro teorico che non è mai del tutto neutrale, un insieme di presupposti, concetti di base e strumenti concettuali che vengono raramente messi in discussione durante il lavoro quotidiano dello scienziato.
È qui che la filosofia della scienza svolge un ruolo cruciale, perché serve a smascherare queste cornici invisibili, a renderle esplicite e quindi criticabili, evitando che diventino verità indiscusse solo perché funzionano.
Senza filosofia della scienza, la scienza rischia di trasformarsi lentamente in dogma, in un sistema chiuso che non tollera domande sui propri fondamenti e che confonde l’efficacia operativa con la verità ultima.
Con la filosofia della scienza, invece, la conoscenza rimane aperta, critica e autocorrettiva, consapevole dei propri limiti e proprio per questo più solida, capace di evolvere senza perdere il rigore, mantenendo viva quella tensione tra certezza e dubbio che da sempre rappresenta il motore più autentico del progresso scientifico.
Le radici storiche della filosofia della scienza
Per comprendere davvero la filosofia della scienza è necessario tornare indietro nel tempo, risalire alle sue radici e osservare come le grandi domande sulla conoscenza abbiano accompagnato l’uomo molto prima della nascita della scienza moderna.
Già Aristotele rifletteva in modo sistematico sulla natura del sapere, introducendo una distinzione destinata a diventare fondamentale, quella tra episteme e doxa, ovvero tra conoscenza rigorosa e opinione, tra ciò che può essere dimostrato attraverso cause e principi e ciò che resta legato alla contingenza e alla percezione soggettiva.
Per Aristotele la scienza non era un semplice accumulo di dati o osservazioni isolate, ma una conoscenza profonda delle cause, capace di spiegare il perché dei fenomeni e non solo il loro manifestarsi, una concezione che ancora oggi rappresenta uno dei pilastri della filosofia della scienza.
Un approfondimento autorevole sul pensiero aristotelico in relazione alla scienza è disponibile, ad esempio, nella Stanford Encyclopedia of Philosophy, una delle risorse più accreditate in ambito filosofico.
Con Galileo Galilei la filosofia della scienza compie un salto decisivo, perché per la prima volta il metodo sperimentale viene applicato in modo sistematico allo studio della natura, ma soprattutto viene accompagnato da una riflessione profonda sui suoi stessi presupposti.
Galileo non si limita a osservare e misurare, ma si interroga su che cosa significhi conoscere scientificamente, su quali aspetti della realtà possano essere colti attraverso l’esperimento e su quali, invece, restino fuori dal campo della misurazione.
La celebre affermazione secondo cui il libro della natura è scritto in linguaggio matematico non è soltanto una metafora suggestiva, ma una vera e propria tesi di filosofia della scienza, perché afferma implicitamente che la realtà diventa scientificamente intelligibile solo quando viene tradotta in strutture matematiche.
Un’analisi approfondita del contributo di Galileo alla filosofia della scienza può essere consultata sul sito della Stanford Encyclopedia of Philosophy:
https://plato.stanford.edu/entries/galileo/
Isaac Newton porta questa visione a piena maturazione, offrendo un modello di scienza che dominerà il pensiero occidentale per secoli, fondato sull’osservazione, sull’esperimento e su un uso rigoroso della matematica come strumento descrittivo e predittivo.
Il metodo induttivo newtoniano diventa il paradigma della razionalità scientifica, tanto da influenzare non solo la fisica, ma anche la filosofia, l’epistemologia e persino l’idea stessa di progresso.
Eppure Newton mostra una consapevolezza filosofica spesso trascurata, quando afferma di “non fingere ipotesi”, riconoscendo implicitamente un limite della spiegazione scientifica e distinguendo tra ciò che può essere descritto matematicamente e ciò che resta, almeno per il momento, oltre la portata della teoria.
Questo aspetto del pensiero newtoniano, fondamentale per la filosofia della scienza, è ben approfondito in diverse analisi storiche e filosofiche, come quelle reperibili sul sito della Royal Society:
https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rspa.2015.0130
In questo percorso che va da Aristotele a Galileo e Newton si delinea chiaramente la nascita della filosofia della scienza come riflessione critica sulla conoscenza, una riflessione che non accompagna la scienza come semplice commento, ma che ne costituisce, fin dalle origini, una componente essenziale e irrinunciabile.
Empirismo e razionalismo nella filosofia della scienza
La filosofia della scienza si sviluppa anche attraverso il confronto tra empirismo e razionalismo. Francis Bacon ad esempio sostiene che la conoscenza debba partire dall’esperienza sensibile.
René Descartes, al contrario, affida alla ragione il compito di fondare la scienza, questo conflitto attraversa tutta la storia della filosofia della scienza e ancora oggi ci chiediamo quanto conti l’osservazione e quanto conti il modello teorico.
La risposta non è mai definitiva, ed è proprio qui che la filosofia della scienza mostra la sua forza.
Il Novecento e la crisi delle certezze scientifiche
Nel corso del Novecento la filosofia della scienza entra in una fase di profonda trasformazione, quasi una crisi di maturità, in cui le certezze accumulate nei secoli precedenti vengono messe in discussione alla luce di nuove scoperte scientifiche e di un crescente bisogno di chiarire che cosa renda davvero scientifica una teoria.
In questo contesto si afferma il positivismo logico, un movimento che tenta di ridurre la scienza a un linguaggio formale rigoroso, perfettamente verificabile, fondato sull’idea che solo ciò che può essere controllato empiricamente abbia senso e valore conoscitivo.
Secondo questa visione, tutto ciò che non è verificabile attraverso l’esperienza diretta o la logica formale viene relegato nel campo del nonsenso, una posizione che, almeno inizialmente, sembra offrire alla scienza una base solida e definitiva.
Tuttavia, ben presto emergono i limiti di questo approccio, perché molte teorie scientifiche fondamentali non sono verificabili in senso stretto, ma si basano su ipotesi generali, modelli astratti e previsioni indirette.
È in questo scenario che Karl Popper introduce il celebre criterio di falsificabilità, destinato a cambiare radicalmente la filosofia della scienza e il modo stesso di concepire il progresso scientifico.
Per Popper una teoria scientifica non è tale perché può essere definitivamente verificata, ma perché può essere messa alla prova e, in linea di principio, smentita dai fatti, rimanendo valida solo fino a quando non viene confutata.
La scienza, in questa prospettiva, non procede per accumulo di verità certe, ma attraverso un processo continuo di tentativi ed errori, di ipotesi audaci e confutazioni rigorose, diventando così un sapere aperto, fallibile e sempre provvisorio.
Un approfondimento autorevole sul pensiero di Karl Popper e sul concetto di falsificabilità è disponibile nella Stanford Encyclopedia of Philosophy:
https://plato.stanford.edu/entries/popper/
Kuhn e i paradigmi scientifici
A questo punto interviene Thomas Kuhn, aggiungendo un tassello decisivo alla filosofia della scienza e spostando l’attenzione dal singolo metodo scientifico alla storia concreta delle pratiche scientifiche.
Secondo Kuhn la scienza non procede in modo lineare e cumulativo, come spesso si è portati a pensare, ma attraversa fasi relativamente stabili, che lui chiama paradigmi, ossia cornici concettuali condivise da una comunità scientifica, all’interno delle quali vengono definiti i problemi rilevanti, i metodi legittimi e i criteri di soluzione.
Quando un paradigma funziona, la scienza si muove al suo interno in modo ordinato, ma quando le anomalie si accumulano e non riescono più a essere spiegate, il paradigma entra in crisi e si apre la strada a una rivoluzione scientifica.
Esempi emblematici di queste rivoluzioni sono il passaggio dalla fisica newtoniana alla relatività di Einstein o l’affiancamento della meccanica classica con la meccanica quantistica, cambiamenti che non rappresentano semplici miglioramenti tecnici, ma vere e proprie trasformazioni nel modo di vedere e interpretare la realtà.
Grazie a Kuhn, la filosofia della scienza mostra con maggiore chiarezza che la scienza non è un’attività puramente neutrale e astratta, ma un’impresa umana, influenzata da fattori storici, culturali e sociali, senza per questo perdere il suo valore conoscitivo.
Per un’analisi approfondita del concetto di paradigma e delle rivoluzioni scientifiche, è possibile consultare la Stanford Encyclopedia of Philosophy:
https://plato.stanford.edu/entries/thomas-kuhn/
Questa svolta novecentesca segna un momento cruciale per la filosofia della scienza, perché introduce una visione più realistica e complessa del sapere scientifico, capace di tenere insieme rigore metodologico, consapevolezza dei limiti e attenzione al contesto umano in cui la conoscenza prende forma.
La filosofia della scienza di fronte alla coscienza
Uno dei terreni più complessi e affascinanti per la filosofia della scienza è senza dubbio lo studio della coscienza, un ambito in cui i tradizionali strumenti di analisi scientifica mostrano con maggiore evidenza i loro limiti.
La coscienza, infatti, sfugge ai modelli puramente quantitativi, non si lascia catturare completamente da misurazioni, correlazioni statistiche o descrizioni funzionali, e non può essere ridotta senza residui a una semplice elaborazione di informazioni.
Molti neuroscienziati adottano un approccio materialista, secondo il quale la coscienza emerge dall’attività del cervello, dalle interazioni tra neuroni, sinapsi e circuiti complessi, una posizione che ha prodotto risultati straordinari sul piano descrittivo, ma che lascia aperte questioni fondamentali.
È proprio qui che la filosofia della scienza interviene con una domanda cruciale, spesso elusa nel dibattito scientifico: che cosa significa davvero “emergere”?
Dire che la coscienza emerge dall’attività cerebrale equivale a spiegarla o semplicemente a rinominare il problema?
Questa domanda apre lo spazio per riflessioni più profonde, in cui entrano in gioco filosofi come David Chalmers, noto per aver formulato il celebre “hard problem of consciousness”, ovvero il problema di spiegare perché e come dall’attività fisica del cervello sorga l’esperienza soggettiva, il sentire in prima persona.
Il contributo di Chalmers ha messo seriamente in crisi le spiegazioni riduzioniste, mostrando come una descrizione completa delle funzioni cognitive non esaurisca il mistero della coscienza.
Un approfondimento autorevole sul pensiero di David Chalmers e sull’hard problem è disponibile nella Stanford Encyclopedia of Philosophy:
https://plato.stanford.edu/entries/consciousness/
Federico Faggin e il contributo alla filosofia della coscienza
In questo scenario si inserisce il contributo di Federico Faggin che tratto in un capitolo dedicato nel mio libro “Il Paradosso delle Polarità“, pur non essendo un filosofo di formazione sta offrendo una prospettiva originale e sempre più rilevante alla filosofia della scienza e alla filosofia della coscienza.
Faggin critica apertamente l’idea, oggi molto diffusa, che l’intelligenza artificiale possa diventare cosciente semplicemente aumentando la complessità dei calcoli o la potenza di elaborazione, sostenendo che la coscienza non sia un prodotto del calcolo, né una proprietà emergente di algoritmi sempre più sofisticati.
Attraverso le riflessioni di Faggin, la filosofia della scienza si confronta con un limite fondamentale del paradigma computazionale, un paradigma che spiega moltissimo sul piano funzionale e operativo, ma che sembra incapace di rendere conto dell’esperienza soggettiva.
Secondo Faggin la coscienza è una proprietà fondamentale della realtà, non riducibile né derivabile esclusivamente da processi materiali, una posizione che riapre il dialogo tra scienza, filosofia e persino spiritualità, senza per questo rinunciare al rigore razionale.
Queste idee sono approfondite nei suoi scritti e interventi pubblici, come quelli presentati sul sito ufficiale della Federico and Elvia Faggin Foundation:
https://www.fagginfoundation.org
Filosofia della scienza e intelligenza artificiale
L’intelligenza artificiale rappresenta oggi uno dei campi in cui la filosofia della scienza si rivela più necessaria e urgente, perché mette alla prova le nostre definizioni di intelligenza, comprensione e coscienza.
Gli algoritmi funzionano, apprendono, ottimizzano strategie e, in alcuni ambiti specifici, superano l’essere umano in termini di velocità e precisione, ma funzionare non significa comprendere, e questa distinzione è tutt’altro che banale.
La filosofia della scienza ci aiuta a distinguere tra simulazione e realtà, ricordandoci che un modello linguistico può simulare una conversazione in modo sorprendentemente convincente senza possedere alcuna esperienza soggettiva o consapevolezza.
Il rischio, sempre più diffuso nel dibattito pubblico, è quello di confondere le prestazioni con la coscienza, attribuendo agli strumenti tecnologici proprietà che appartengono all’esperienza vissuta.
In questo senso la filosofia della scienza agisce come un antidoto concettuale, capace di riportare il discorso su basi critiche e di evitare semplificazioni che, pur seducenti, rischiano di oscurare le questioni davvero fondamentali sul rapporto tra mente, macchina e realtà.
Perché la filosofia della scienza è più attuale che mai
Viviamo in un’epoca dominata dalla tecnologia e la scienza è diventata un’autorità culturale. Eppure mai come oggi abbiamo bisogno di riflettere sui suoi limiti.
La filosofia della scienza ci ricorda che la conoscenza non è mai neutrale e ci insegna a distinguere tra sapere e credere di sapere, ci invita a mantenere uno sguardo critico anche verso ciò che funziona, il tutto in un mondo che corre veloce, la filosofia della scienza ci insegna l’arte della pausa.
La filosofia della scienza non è un lusso intellettuale ma una bussola Ci aiuta a orientarci tra dati, teorie e narrazioni dominanti.
Grazie ai filosofi del passato e ai contributi contemporanei come quello di Federico Faggin, la filosofia della scienza continua a evolversi.
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