Scopriamo le origini della psicologia

La parola psicologia nasce nel rinascimento dall’unione di due termini della lingua greca, psiche (che significa anima) e logos (che significa studio), quindi era considerato lo studio dell’anima. Successivamente il suo significato cambiò in studio della mente.
Fin dagli albori la filosofia si poneva domande riguardanti l’universo e il perché dell’uomo sulla Terra nonché il funzionamento della mente umana.
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Le origini della psicologia sono filosofiche
Platone ( 428 a.C.-347 a.C.) si esprimeva sulle capacità cognitive dell’uomo sostenendo la conoscenza innata, mentre Aristotele (384 a.C.-322 a.C.) riteneva che la conoscenza si acquisisse tramite l’esperienza e che la mente al momento della nascita fosse come una lavagna vuota (tabula rasa) sulla quale scrivere le esperienze.
Non possiamo parlare nell’Antica Grecia di psicologia come scienza poiché gli interrogativi espressi nel pensiero greco sulle capacità cognitive e il perché dell’esistenza umana non andavano oltre l’ambito filosofico.
L’epoca dei lumi getta i semi della psicologia in quanto scienza
Tra il 1850 e il 1870 fisici e medici si interessano dello studio delle attività intellettive, di sensazioni e di emozioni. Essi applicano allo studio della mente le metodologie che applicavano alle scienze naturali.
Con Charles Darwin nel 1872 nasce la teoria fisiologica delle emozioni che sono ritenute scariche di energia che attraversano l’organismo, scatenate da stimoli esterni. Darwin è un evoluzionista e ricorre agli studi sugli animali e quindi etologici per capire l’uomo.
Il contributo fondamentale lo apportò il fisiologo Wundt con i suoi studi sulla percezione sensoriale e con il laboratorio sperimentale fondato nel 1879. Con il metodo sperimentale di Wundt la psicologia non solo diventa una scienza a tutti gli effetti ma acquista indipendenza dalle altre scienze biologiche. Wundt riesce a sintetizzare nella psicologia risultati empirici provenienti dalla fisiologia, filosofia, etica e antropologia.
Il metodo Wundtiano per esaminare l’esperienza era l’introspezione, ossia l’osservazione sistematica e diretta dei processi che hanno luogo nel soggetto che esperisce un fenomeno, nel momento in cui lo esperisce. Questo metodo porta alla scomposizione dei processi psichici nelle unità elementari che li compongono. Il processo si ricompone attraverso le associazioni di unità elementari.
Dall’ipnosi alla psicoanalisi
Nella seconda metà del 1800 si studia scientificamente il fenomeno ipnotico.

Charcot, neurologo francese nato nel 1825 e morto nel 1893, usa l’ipnosi per curare l’isteria.
Freud nell’ultimo decennio dell’’800 dimostrò l’esistenza dell’inconscio attraverso i lapsus, i sogni, gli atti mancati, la coazione a ripetere, ecc.
Freud ha posto le basi della psicoanalisi della quale gli viene riconosciuta la paternità e a lui il merito di aver fatto uscire lo studio della mente dai laboratori per farla approdare nello studio del medico.
Comportamentismo e cognitivismo
All’inizio del Novecento si sviluppa negli Stati Uniti la psicologia comportamentale con John Watson.
Watson osserva ciò che è riscontrabile e riconoscibile, il comportamento, e si oppone al metodo introspettivo.
La psicologia comportamentale venne studiata sempre a inizio ‘900 in Russia da Pavlov.
A partire dagli anni 1956-1960 il cognitivismo si contrappone al comportamentismo che considerava l’apprendimento come una concatenazione di stimoli e risposte e studiava perciò solo il comportamento osservabile. Il cognitivismo propone invece di studiare la mente umana in termini di memoria e di processi cognitivi (apprendere e conoscere); descrive i processi mentali e le strutture cognitive con cui si risolvono tipologie di situazioni problematiche.
Il cognitivismo è una corrente di pensiero multidisciplinare (neurologica, psicologica e pedagogica) che studia i processi mentali. E come la mente conosce sé stessa (metacognizione).
Psicologia e narrativa

I miti e le metafore sono sempre state utilizzate dalla mente umana per conoscere e spiegarsi il comportamento, anche quello più pulsionale.
I Greci spiegavano gli istinti atavici dell’essere umano con i miti, che venivano poi trasposti nella letteratura e nel teatro. Attraverso la drammaturgia avveniva la catarsi o purificazione dagli istinti più biechi. Ma per i Greci questi tratti non prevedevano dal punto di vista psicologico una responsabilità a 360 gradi e quindi tutto veniva relegato al fato, al volere degli dei e gli uomini erano responsabili ed espianti per la hybris (tracotanza), come nel caso specifico di Edipo.
La tracotanza nell’Edipo re di Sofocle è di Edipo ma anche dei genitori naturali, Laio e Giocasta.
Laio e Giocasta, alla nascita del figlio, ed Edipo, in età adulta, avrebbero voluto combattere l’ineluttabilità della vita, evitando un destino orrendo.
Naturalmente non avrebbero potuto evitare il volere divino e ostacolando il fato finirono per facilitarlo. Questa la loro tracotanza, la pretesa di poter prendere in giro la vita. All’attuarsi del cieco destino soccombono rendendosi conto di essere corresponsabili e di non aver diritto a repliche e recriminazioni.
Freud riprese questo mito per spiegare l’innato innamoramento dei figli verso il genitore di sesso opposto.
Spostandoci nel verismo verghiano ci inoltriamo agli albori della psicologia che acquista rigore scientifico e sperimentale con la corrente positivistica e il naturalismo.
Ciò che conta per le sperimentazioni di laboratorio e cliniche è l’osservazione. Il corrispettivo letterario che menziono è l’osservazione che immortala come in fotografia la realtà. Non a caso Verga era uno scrittore che si interessava di fotografia.
I personaggi della casa del nespolo portano con dignità la loro sconfitta per il tentativo di staccarsi da una necessità che tiene il mondo incollato alle sue certezze e alla sua routine. Vengono sconfitti dalla legge di necessità che fa girare il mondo verghiano e non si ribellano. Il loro contegno è l’aver accettato la sconfitta e il desiderio della svolta decisiva per la loro situazione economica conferisce ulteriore dignità alla gente di Trezza. ‘Ntoni apprende ciò osservando la sorella Mena crescere i bambini della cognata e placa la sua ribellione. Resta in ‘Ntoni una malinconica tristezza.
Anche in questo caso la hybris viene punita, ma la tracotanza di ‘Ntoni è stata generata dal non aver capito il meccanismo della necessità e non dall’arroganza come per Edipo.
Con un salto di qualche decennio arriviamo alla letteratura esistenziale di Pirandello.
Il metodo sperimentale della psicologia, che parte dall’osservazione, porta alla classificazione di quel che caratterizza l’uomo e quindi osservandolo nella sua totalità al fine di studiarlo e curarlo, lo analizza nelle sue componenti affettive, emotive, comportamentali e nelle sue nevrosi e psicosi. La conseguente scissione dell’io a causa dell’introspezione non può che portare all’alienazione dei personaggi in letteratura e si arriva all’esistenzialismo.
I personaggi pirandelliani non mancano di spessore tragico che consiste nella rassegnazione di vivere ai margini della società o addirittura di non vivere, di vegetare, poiché sconfitti dalla vita, dalla società, dal loro carattere, dai loro traumi e dal loro osservarsi mentre la vita scorre che è negazione del vivere.