I visoni affetti da coronavirus sono un pericolo per la salute umana?

Molti paesi d’Europa hanno registrato diversi episodi di infezione da SARS-CoV-2 in animali comunemente allevati per farne pellicce: i visioni.
La Danimarca avrebbe deciso di abbattere circa 17 milioni di visoni portatori di una variante mutata del coronavirus, ma si segnalano casi anche in Italia, Olanda, Spagna, USA, Svezia e Francia. Il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha appena firmato un’ordinanza che dispone la sospensione delle attività di allevamento di visioni su tutto il territorio nazionale fino al 28 febbraio 2021, data in cui verrà eseguita una nuova valutazione epidemiologica.
Ma il contagio di questi piccoli animali che rischio comporta per la salute pubblica?
Ne abbiamo parlato in modo approfondito con il Dr. Antonio Lavazza, Direttore del Reparto di Virologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “Bruno Umbertini” presso la sede di Brescia.
Ricordiamo che i compiti primari dell’Istituto (IZSLER) sono:
- attività di controllo degli alimenti destinati all’uomo e agli animali;
- supporto analitico e consultivo dell’attuazione dei piani di profilassi, risanamento ed eradicazione;
- ricerca applicata in materia di igiene degli allevamenti e di miglioramento delle produzioni zootecniche e, quindi, del benessere animale;
- sorveglianza epidemiologica nell’ambito della sanità animale, igiene delle produzioni zootecniche e degli alimenti;
- ricerca sperimentale applicata e di base nell’ambito veterinario e degli alimenti
Il virus che ha infettato i visoni in che senso è una variante mutata del virus che colpisce l’uomo? Quali sono le differenze?
Inizialmente i visoni sono stati infettati dal virus “umano”, quindi si è trattato di un passaggio a tutti gli effetti da uomo a visone. Successivamente il virus è iniziato a circolare nel visone che si è dimostrata specie suscettibile e permissiva alla replicazione virale.
Nei visoni il virus si è diffuso ampiamente soprattutto nelle zone ad alta densità di allevamenti come Olanda e Danimarca, e, moltiplicandosi, è andato incontro a minime mutazioni della sequenza genetica, selezionando così un ceppo con caratteristiche peculiari, differenziabile dai ceppi “umani” ed in particolare dal ceppo umano oggi più diffuso il “D614G”, che a sua volta è un ceppo “mutato”, emerso nell’uomo a febbraio/marzo e poi ampiamente diffusosi in tutto il mondo, soppiantando di fatto i ceppi della prima ora.
Quindi le mutazioni sono comuni nei virus?
Il fenomeno delle mutazioni genetiche puntiformi è conosciuto da tempo e abbastanza comune a diverse famiglie virali, tra cui i coronavirus. È una sorta di strategia di sopravvivenza che i virus adottano alla ricerca della miglior fitness nel rapporto con il proprio ospite. In ambito veterinario questi sono fenomeni molto noti, frequenti e largamente studiati per i coronavirus tipici degli animali.
Il contagio di questi animali come è avvenuto? L’uomo potrebbe contrarre l’infezione mutata dai visoni?
In prima istanza ad aprile 2020 in Olanda la trasmissione da uomo a visone sarebbe avvenuta in modo “casuale” da parte di personale di allevamento addetto alla cura degli animali, presumibilmente infetto da SARS-CoV-2 in forma paucisintomatica, quando ancora non vi era l’obbligo di utilizzare misure di precauzione e biosicurezza adeguate. I dati ad oggi disponibili provenienti dalla Danimarca e dai Paesi Bassi sulle varianti “visone” di SARS-CoV-2 indicano che queste varianti sono in grado di circolare rapidamente negli allevamenti di visoni e nelle comunità umane vicine agli allevamenti, ma non sembrano essere più trasmissibili di altre varianti circolanti di SARS-CoV-2. Pertanto, in base a quanto indicato dall’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) nel documento RAPID RISK ASSESSMENT “Detection of new SARS-CoV-2 variants related to mink” del 12 November 2020, la probabilità di infezione da ceppi varianti correlati al visone è valutata come bassa per la popolazione generale, moderata per le popolazioni in aree con un’alta concentrazione di allevamenti di visoni e molto alta per gli individui con esposizione professionale.
In Danimarca i primi studi sulla mutazione, chiamata “Cluster 5”, hanno mostrato che il virus dei visoni ha una ridotta sensibilità verso gli anticorpi. Cosa significa? L’efficacia di un potenziale vaccino potrebbe essere compromessa?
Al 5 novembre 2020, la Danimarca ha segnalato un totale di 214 casi umani di COVID-19 infettati con varianti del virus SARS-CoV-2 correlati al visone, tutti portatori della mutazione Y453F nella proteina spike (S). Questi 214 casi rappresentano il 4,2% dei 5102 campioni umani, per i quali è stata ottenuta la sequenza virale completa. A loro volta i 5102 ceppi sequenziati rappresentavano il 13% del numero totale di 37967 casi segnalati in Danimarca tra l’8 giugno e il 18 ottobre 2020. Le varianti SARS-CoV-2 rilevate in questi casi facevano parte di almeno cinque cluster, ovvero gruppi strettamente correlati di sequenze virali; ogni cluster è stato caratterizzato da una specifica variante correlata al visone, identificata nell’uomo e in visoni di allevamenti infetti. Dei 214 casi umani infettati da varianti di virus correlati al visone, 12 casi umani sono stati infettati da ceppi che mostravano quattro cambiamenti genetici nella proteina S; tre sostituzioni e una soppressione. Questo cluster è indicato nella valutazione del rischio danese come “Cluster 5”. I 12 casi umani sono stati segnalati nella regione dello Jutland settentrionale ad agosto e settembre 2020 e non tutti avevano un collegamento diretto con un allevamento di visoni. Da rilevare, inoltre, che i pazienti infetti da varianti correlate al visone, inclusa la variante Cluster 5 in Danimarca, non hanno mostrato sintomi clinici più gravi di quelli infettati con varianti non correlate al visone.
Poiché la proteina S contiene il dominio di legame del recettore, ovvero è implicata nei meccanismi di “attacco e penetrazione” del virus nelle cellule ospiti (alla base della suscettibilità e permissività di specie) ed è nel contempo un obiettivo principale per la risposta immunitaria (ovvero per la produzione di anticorpi neutralizzanti da parte dell’ospite infetto), tali mutazioni potrebbero, in teoria, avere implicazioni sulla fitness virale (intesa come capacità di infettare esseri umani e animali), la trasmissibilità e l’antigenicità.
Di conseguenza, l’evoluzione dei virus con mutazioni nei componenti funzionali della proteina S potrebbe condizionare i trattamenti terapeutici, la validità di alcuni test diagnostici e l’antigenicità del virus. Potrebbe anche avere un impatto sull’efficacia in campo dei vaccini candidati in via di sviluppo e forse richiedere che vengano aggiornati (aggiornamento che, ad esempio nel caso dell’influenza viene fatto di anno in anno selezionando, per la produzione di vaccini, i ceppi più diffusi a livello mondiale nel corso di ciascuna stagione).
E’ importante sottolineare che queste sono ad oggi non certezze ma pure ipotesi da verificare e non a caso indagini e ricerche sono in corso per chiarire la portata di queste possibili implicazioni. Inoltre, la continua trasmissione in allevamenti di visoni potrebbe teoricamente favorire la comparsa di ulteriori varianti e per questo è necessaria un’attenta vigilanza od anche l’attuazione di scelte drastiche come quelle avanzate dal governo danese che ha proposto l’eliminazione preventiva di tutti i visoni a rischio.
In quante regioni d’Italia sono stati registrati casi di visoni colpiti dall’infezione di SARS-CoV-2? È presente la stessa mutazione riportata in Danimarca?
In Italia è presente un esiguo numero di allevamenti di visoni (9 per l’esattezza) distribuiti al centro Nord che, fin da maggio il Ministero della Salute ha disposto che venissero sottoposti a visite periodiche da parte dei Servizi Veterinari per verificare l’eventuale presenza di sintomi respiratori, gastroenterici o fenomeni di mortalità anomala e nel contempo che venissero applicate di misure di prevenzione e biosicurezza.
Ad oggi in un solo allevamento della provincia di Cremona sono state evidenziate tre positività, tutte a basso titolo, di cui due a luglio/agosto ed una ad inizio novembre, su oltre 1500 campioni eseguiti (tamponi nasali, fecali ed esami delle carcasse), senza che sia mai stata rilevata mortalità anomala o segni clinici ed anatomopatologici riferibili a COVID-19. L’ipotesi avanzata è che si possa essere trattata di semplice “contaminazione” da parte di personale infetto o di reazione aspecifica al test diagnostico , senza cioè che di fatto si sia mai manifestato nel concreto il passaggio dell’infezione virale ai visoni. Proprio la mancanza di una replicazione attiva in quest’unico allevamento nazionale e il riscontro di sole deboli positività ha reso di fatto impossibile ottenere la sequenza genomica del virus e definire l’eventuale presenza di mutazioni.
Molti visoni sono stati abbattuti per evitare che agissero da serbatoio di SARS-CoV-2, trasmettendo il virus tra di loro e poi alla popolazione umana. Perché i visoni sono così sensibili al coronavirus?
La suscettibilità di specie, cioè il fatto che il virus possa attaccare e penetrare nelle cellule dell’ospite e la permissività ovvero che possa replicarsi all’interno delle cellule stesse, è fondamentalmente legato alla presenza di recettori sulle superfici cellulari.
Per usare un paragone abbastanza inflazionato, permettere cioè che la “chiave” del virus (una porzione degli spikes posti sulla superficie virale) entri nella “serratura” posta sulla superficie delle cellule (i recettori ACE2). Semplificando al massimo è proprio la espressione più o meno elevata in termini numerici e di distribuzione tissutale di questi recettori ACE2 che rende una specie più o meno suscettibile.
Esistono alcuni studi che hanno stabilito proprio una scala di valori di sensibilità di diverse specie e tra queste agli estremi opposti rispettivamente l’uomo/scimmia e il ratto/topo, mentre nelle prime posizioni ci sarebbero ci sarebbero i mustelidi come il furetto e il visone ma anche potenzialmente altri animali selvatici come faina, donnola, tasso martora, lontra, ermellino, civetta delle palme, (già nota come ospite intermedio di SARS-CoV etc.), seguiti dai felidi (gatti e altri grandi felini), cane, coniglio etc.
In base alle conoscenze ad oggi acquisite, diverse specie animali si sono dimostrate suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 sia naturalmente o tramite infezione sperimentale ma tra queste non ci sono le principali specie di interesse zootecnico.
L’episodio dei visoni potrebbe non essere isolato? Dobbiamo aspettarci altri casi di zoonosi?
È una domanda alla quale è difficile dare una risposta. Per chi è abituato ad affidarsi al metodo scientifico, le conoscenze, che non sono mai certezze assolute, nascono dallo studio e verifica di ipotesi teoriche.
Quanto sopra descritto in relazione allo studio delle suscettibilità di specie con metodi di riproduzione sperimentali va in questa direzione ed ha questa finalità: aumentare le conoscenze per permettere una puntuale valutazione del rischio (risk assessment) e adottare di conseguenza misure preventive e precauzionali. Peraltro, va detto che estrapolare le informazioni sulla suscettibilità di specie derivate da studi di infezione controllata (challenge) sugli animali, condotti in condizioni di laboratorio, rispetto a situazioni esterne del “mondo reale” potrebbe essere difficile; infatti la dose virale infettante tende ad essere molto alta in contesti sperimentali rispetto alla dose virale a cui gli animali sarebbero esposti in scenari di infezione naturale.
Ad oggi, un certo numero di casi di positività in felidi, canidi e mustelidi ha dimostrato la trasmissione naturale uomo-animale di SARS-CoV-2, la maggior parte a causa del contatto ravvicinato e prolungato con famiglie o persone infette, ma in nessuno di questi c’è stato coinvolgimento della fauna selvatica. Ciononostante l’OIE (Organizzazione Mondiale per la Sanità Animale) afferma:
“Esiste la possibilità che la SARS-CoV-2 diventi endemica nella popolazione umana e quindi venga considerata come una potenziale zoonosi inversa per la fauna selvatica come per altre malattie infettive tipo la tubercolosi e l’influenza”.
Indubbiamente vi è preoccupazione per il rischio di trasmissione uomo-animale, soprattutto tra specie selvatiche non in cattività. Gli sforzi richiesti nella sorveglianza della fauna selvatica a vita libera sono quindi vitali per la gestione e la conservazione, nonché per la salute della fauna selvatica, delle persone e degli ecosistemi.
Approfondimenti:
Infectison with SARS-CoV-2 in animals
Guidelines for Working with Free-Ranging Wild Mammals in the Era of the COVID-19 Pandemic
Foto di copertina di Derek Naulls da Pixabay