Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19

In riferimento alle misure utili per contrastare gli effetti della pandemia da Coronavirus, riteniamo opportuno richiamare l’attenzione su un aspetto di prevenzione, meno noto al grande pubblico, l’Ipovitaminosi D il cui compenso, in associazione alle ben note misure di prevenzione di ordine generale, potrebbe contribuire a superare questo difficile momento.
Sulla base di numerose evidenze scientifiche e di considerazioni epidemiologiche, sembra che il raggiungimento di adeguati livelli plasmatici di Vitamina D sia necessario anzitutto per prevenire le numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, ma anche per determinare una maggiore resistenza all’infezione COVID-19 che, sebbene con minore evidenza scientifica, può essere considerata verosimile. Tale compenso può essere raggiunto anzitutto con l’adeguata esposizione alla luce solare, poi alimentandosi con cibi ricchi in Vitamina D (la Figura 1 riporta i dieci alimenti in cui essa è maggiormente presente), e in ultimo con l’assunzione di specifici preparati farmaceutici, sempre sotto controllo medico. Questa raccomandazione è utile per la popolazione generale, ma è particolarmente pregnante per i soggetti già contagiati, i loro congiunti, il personale sanitario, gli anziani fragili, gli ospiti delle residenze assistenziali, le donne in gravidanza, le persone in regime di clausura e tutti coloro che per vari motivi non si espongono adeguatamente alla luce solare. Inoltre, potrebbe essere considerata la somministrazione in acuto del calcitriolo per via e.v. in pazienti affetti da COVID-19 con funzionalità respiratoria particolarmente compromessa

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La Vitamina D
Anche se non vi è pieno accordo fra le diverse Società Scientifiche, possiamo considerare come accettabili nella popolazione generale valori superiori a 20 ng/ml, mentre negli anziani sarebbe opportuno raggiungere almeno i 30 ng/ml. La Vitamina D può essere sintetizzata dalla cute, per effetto delle radiazioni ultraviolette emesse dalla luce solare, che determinano la conversione del 7- deidrocolesterolo in Colecalciferolo, oppure può essere assunta con gli alimenti. Una volta prodotto dalla cute, o assunto con gli alimenti, il Colecalciferolo si accumula nel tessuto adiposo per essere poi gradualmente rilasciato e per andare incontro a due successive idrossilazioni, la prima nel fegato (25 OHD) e la seconda nel rene, con produzione della sua forma attiva (1-25 OH2 D3 o calcitriolo) che poi, legandosi a specifici recettori, agisce su diversi tessuti con un meccanismo simil-ormonale. Durante l’inverno, i livelli di Colecalciferolo si riducono sensibilmente, sia per la minore irradiazione solare e sia per l’esaurimento delle riserve accumulate durante l’estate: per questo motivo, nei mesi di febbraio/marzo vi è un maggiore rischio della sua carenza.
Motivazioni scientifiche a supporto degli effetti antiinfettivi della Vitamina D
1) Concentrazioni ridotte di 25(OH)D aumentano il rischio di osteoporosi e delle cadute dell’anziano https://doi.org/10.1016/S2213-8587(18)30347-4, ma si associano anche a tumori, malattie cardiovascolari, malattie autoimmuni, infezioni croniche dell’apparato respiratorio, diabete mellito, malattie neurologiche e ipertensione. Queste patologie causano maggiore mortalità, soprattutto se questi pazienti si ammalano di COVID-19
2) Da tempo è noto il ruolo immunomodulatore della Vitamina D e anche un suo effetto antagonista sulla replicazione virale nelle vie respiratorie https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3308600/
3) Una review del 2014, “Vitamin D: a new anti-infective agent?”, ha esaminato le interazioni fra la
Vitamina D, il sistema immunitario e le patologie infettive, sottolineando l’associazione tra l’ipovitaminosi D e le infezioni respiratorie ed enteriche, l’otite media, le infezioni da Clostridium, le vaginosi, le infezioni del tratto urinario, la sepsi, l’influenza, la dengue, l’epatite da attribuire alla capacità della vitamina D di incrementare peptidi antimicrobici (catelicidina e beta-defensine) dotati di attività antivirale e immunomodulatoria (www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24593793).
4) Uno studio condotto in Sud Corea www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25946368 ha evidenziato valori ridotti di 25(OH)D (14 ±8 ng/ml) in pazienti con polmonite acuta acquisita in comunità.
5) In pazienti con malattie infiammatorie intestinali www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/30601999 è stato evidenziato che, in presenza di livelli di 25(OH)D < a 20 ng/ml, la somministrazione di vitamina D3 (500 U/die) riduce di due terzi l’incidenza di infezioni delle alte vie respiratorie.
6) Una concentrazione di 25(OH)D superiore a 38 ng/ml si associa al dimezzamento del rischio di infezioni respiratorie acute dell’apparato respiratorio https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20559424
7) Una metanalisi del 2017 ha considerato 25 studi randomizzati, evidenziando che la supplementazione di Vitamina D riduce di due terzi l’incidenza di infezioni respiratorie acute nei soggetti con livelli di 25(OH)D inferiori a 16 ng/ml: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28202713
8) Il Calcitriolo si è dimostrato efficace nei ratti nel ridurre il danno polmonare acuto indotto nei ratti da lipopolisaccaridi attraverso un effetto sul sistema renina-angiotensina: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28944831
9) Particolarmente attuale ed importante pare quanto contenuto in un preprint del 15 marzo 2020, https://www.preprints.org/manuscript/202003.0235/v1 “Vitamin D Supplementation Could Prevent and Treat Influenza, Coronavirus, and Pneumonia Infections” nel quale viene sottolineato un possibile ruolo della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento anche della malattia da coronavirus. Vi si legge che la Vitamina D riduce il rischio di infezioni respiratorie attraverso tre meccanismi:
- ➢ Mantenimento delle tight junctions, e della barriera polmonare: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/30409076
- ➢ Incremento dell’espressione di peptidi antimicrobici quali la catelicidina e beta-defensine: www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16497887 www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15322146 Da notare che questi peptidi sono dotati di attività antivirale: www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25909853 www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29310427
- ➢ Stimolo dell’attività immunoregolatoria, potenzialmente rilevante rispetto al rischio di tempesta citochinica e di polmonite, osservata in pazienti con COVID-19: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31986264Riportiamo alcuni passi del testo che ci paiono particolarmente significativi:
- ➢ A high-dose (250,000 or 500,000 IU) vitamin D3 trial in ventilated intensive care unit patients with mean baseline 25(OH)D concentration of 20–22 ng/ml reported that hospital length of stay was reduced from 36 days in the control group to 25 days in the 250,000-IU group and 18 days in the 500,000-IU group
- ➢ In a pilot trial involving 30 mechanically ventilated critically ill patients, 500.000 IU of vitamin D3 supplementation significantly increased hemoglobin concentrations and lowered hepcidin concentrations, improving iron metabolism and the blood’s ability to transport oxygen
- ➢ During the COVID-19 epidemic, all people in the hospital, including patients and staff, should take vitamin D supplements to raise 25(OH)D concentrations as an important step in preventing infection and spread. A trial on that hypothesis would be worth conducting.
10) Un recente lavoro (“Pulmonary activation of vitamin D3 and preventive effect against interstitial pneumonia”, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31777427) ha evidenziato che:
Il calcitriolo, prodotto dai fibroblasti polmonari, presenta un effetto preventivo antiflogistico sulla polmonite interstiziale indotta sperimentalmente nei topi;
Una dieta ricca di Vitamina D è risultata in grado di attenuare i sintomi della polmonite interstiziale in modelli murini;
La carenza di vitamina D è stata correlata con la severità della polmonite interstiziale sperimentalmente indotta.
11) Particolarmente significative sono le raccomandazione della British Dietetic Association del 16 marzo 2020 (https://www.bda.uk.com/resource/covid-19-corona-virus-advice-for-the-general-public.html) di cui riportiamo alcuni passaggi significativi:
- ➢ Sunshine, not food, is where most of your vitamin D comes from. During autumn and winter months when we spend more time indoors and the sun is weaker; if you are not able to get enough sun, even a healthy, well-balanced diet, that provides all the other vitamins and nutrients you need, is unlikely to provide enough vitamin D. Vitamin D works with calcium and phosphorus for healthy bones, muscles and teeth. It is also important in protecting muscle strength and preventing rickets, osteomalacia and falls.
➢ In spring, if you can, you should seek to spend some time outdoors in the sunshine (e.g. your garden or balcony). However, if you are having to self-isolate or if you are unable to go outside, you should consider taking a daily supplement to ensure a healthy vitamin D status.
Considerazioni epidemiologiche
1) L’Italia è uno dei Paesi Europei (insieme a Spagna e Grecia) con maggiore prevalenza di ipovitaminosi D. Nel Nord Europa la prevalenza è minore per l’antica consuetudine di addizionare cibi di largo consumo (latte, formaggio, yoghurt ecc.) con Vitamina D (www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10197176).
2) In Italia, è stato dimostrato (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12856111) che il 76% delle donne anziane presentano marcate carenza di vitamina D, senza peraltro significative differenze regionali.
3) La ridotta incidenza di COVID-19 nei bambini potrebbe essere attribuita alla minore prevalenza di
Ipovitaminosi D conseguente alle campagne di prevenzione del rachitismo attivate in tutto il mondo
dalla fine dell’Ottocento.
4) L’insorgenza di un focolaio in Piemonte in un convento di suore di clausura, popolazione a più elevato
rischio di Ipovitaminosi D, costituisce un altro elemento suggestivo sul possibile ruolo protettivo della
Vitamina D sulle infezioni virali.
5) La distribuzione geografica della pandemia sembra potersi individuare maggiormente nei Paesi situati
al di sopra del tropico del cancro, con relativa salvaguardia di quelli subtropicali (Figura 2).

Foto di copertina di Jill Wellington da Pixabay