Combattere le leucemie: un approccio innovativo al San Raffaele di Milano

Combattere le leucemie: un approccio innovativo al San Raffaele di Milano

L’immunoterapia è da sempre una valida alternativa alla chemioterapia convenzionale; innovativo l’approccio proposto dall’Unità di Immunologia Sperimentale dell’IRCSS Ospedale San Raffaele di Milano per combattere le leucemie. “Il prossimo passo sarà quello di migliorare l’efficacia della terapia” le promettenti parole della Dott.ssa Giulia Casorati, coordinatrice dello studio pubblicato su Nature Communications. 

L’immunoterapia rappresenta una vera rivoluzione nella lotta ai tumori del sangue. Il concetto innovativo di tale terapia si basa sull’armare le cellule del sistema immunitario del paziente, in modo tale da combattere le cellule tumorali senza attaccare le cellule sane.

Sono innumerevoli gli studi che mirano ad individuare un approccio alternativo alla chemioterapia convenzionale. Promettente lo studio coordinato dalla Dott.ssa Giulia Casorati, responsabile dell’Unità di Immunologia Sperimentale dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.

Abbiamo intervistato la Professoressa Casorati per capire nel dettaglio l’importanza del lavoro svolto dal suo team di ricerca e pubblicato sulla rivista Nature Communications.

Professoressa Casorati
Dott.ssa Giulia Casorati
Quali sono i vantaggi dell’immunoterapia nel trattamento dei tumori del sangue rispetto alla chemioterapia convenzionale?

La chemioterapia seguita da trapianto di midollo rimane la prima linea di trattamento per la maggior parte dei tumori ematologici; tuttavia, è importante disporre di terapie alternative da poter utilizzare nel caso in cui questi trattamenti falliscono. L’immunoterapia è uno di questi approcci, ed in generale ha meno effetti collaterali della chemioterapia, che colpisce sia cellule tumorali che sane in fase di proliferazione, perché agisce in modo mirato contro il bersaglio tumorale risparmiando le cellule normali.

A differenza dei farmaci di sintesi, diversi per struttura chimica e meccanismo d’azione, in base a cosa si decide quale tipo di cellula immunitaria sottoporre a modifiche in laboratorio?

Per bersagliare in modo “chirurgico” il tumore occorre che la cellula immunitaria presenti due caratteristiche principali:

 

  1. Deve essere in grado di uccidere efficientemente la cellula tumorale;
  2. Deve potersi espandere facilmente in vitro, per ottenere quantità sufficienti per il trattamento di ciascun paziente.

Il sistema immunitario contiene un tipo particolare di globuli bianchi, chiamati linfociti T, che hanno queste precise caratteristiche. Queste cellule sono facilmente isolate dal sangue di un donatore sano di midollo, o anche di un paziente che ha una leucemia durante la fase di remissione della malattia, per essere espanse e geneticamente modificate in laboratorio.

Infatti lei ha coordinato uno studio in cui i linfociti T sono stati geneticamente modificati per combattere i tumori del sangue. Come avviene questo processo di ingegnerizzazione?

La strategia che viene utilizzata per modificare geneticamente i linfociti T consiste nell’introdurre nel DNA della cellula un gene che codifica per un nuovo recettore capace di riconoscere selettivamente un antigene tumorale.

Il gene viene trasportato all’interno della cellula grazie a particolari vettori che sfruttano alcune parti di un particolare virus, che non hanno più nulla di patologico, ma mantengono solo la capacità di infettare la cellula, integrando nel suo DNA il nuovo gene terapeutico.

Il linfocita T così geneticamente modificato monterà sulla membrana il nuovo recettore anti-tumorale, e potrà essere trasferito nel paziente leucemico per svolgere la sua funzione terapeutica.

Quale è il ruolo del recettore TCR universale e quali sono le sue possibili implicazioni nella progressione della malattia?

In questo studio abbiamo individuato un recettore chiamato “TCR”, in grado di riconoscere un antigene lipidico che è particolarmente abbondante nelle cellule tumorali, ma molto scarso nelle cellule sane. Questo antigene è esposto sulle cellule tumorali associato a un recettore chiamato CD1c, che è identico in tutti gli individui.

Il TCR che abbiamo individuato è quindi in grado di riconoscere ed uccidere in modo specifico solo le cellule leucemiche di qualsiasi individuo che esprimano la molecola CD1c, ignorando le cellule sane. Questo risultato rende il nostro TCR universale, a differenza degli altri TCR che possiamo chiamare “convenzionali”, che riconoscono sempre antigeni tumorali, ma associati a molecole chiamate HLA. Le molecole dell’HLA sono estremante variabili nella popolazione, pertanto, restringono molto il campo di applicazione della terapia alla sola frazione di popolazione che esprime la forma di HLA riconosciuta da ciascun TCR.

Ad oggi i risultati ottenuti riguardano solo modelli sperimentali di leucemia acuta. Quale sarà il passo successivo per migliorare l’efficacia e la sicurezza di questa tecnica immunoterapeutica?

I nostri dati dimostrano che linfociti T geneticamente modificati col TCR specifico per l’antigene lipidico e la molecola CD1c sono in grado di uccidere in vitro diverse leucemie primarie acute B, T e mieloidi in modelli sperimentali. Il prossimo passo sarà quello di migliorare l’efficacia della terapia, puntando ad eliminare anche cellule leucemiche che esprimono bassi livelli di CD1c sulla membrana, che sono le più pericolose perché possono dare luogo a varianti resistenti al trattamento.

Per questo obiettivo, stiamo studiando sia la possibilità di aumentare la capacitò di legare il bersaglio antigenico da parte del nostro TCR, sia la possibilità di aumentare l’espressione delle molecole CD1c sulle cellule leucemiche mediante trattamenti farmacologici mirati.

Giulia Casorati e Michela Consonni
Dott.ssa Giulia Casorati con  la Dott.ssa Michela Consonni, prima autrice del lavoro

Uno studio tutto in divenire, con un team di ricercatori fiducioso che l’approccio immunoterapico possa segnare la svolta per la cura dei tumori, come emerge dalle parole conclusive della Dott.ssa Casorati:

Riteniamo che la possibilità di avere a disposizione dei recettori in grado di riconoscere antigeni tumorali condivisi da diversi tumori e presentati da molecole non polimorfiche, come ad esempio le molecole CD1, rappresenti un importante sbocco per l’immunoterapia perché permette di disporre di terapie universali pronte per essere applicate ad ogni paziente.

 

In copertina foto di fernando zhiminaicela da Pixabay

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Anna Fortunato

Formazione scientifica e passione per la divulgazione. “Somewhere, something incredible is waiting to be known.”
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