Infezione da HPV: quando la vergogna ostacola la prevenzione

L’HPV (virus del papilloma umano) è un virus trasmissibile per via sessuale, che provoca un’infezione molto frequente, soprattutto fra le persone giovani. Nonostante siano relativamente poche le infezioni che possono evolvere, se non diagnosticate e curate in tempo, verso forme tumorali, la paura e la vergogna di essere giudicate/i ne ritardano il trattamento. L’infezione da HPV assume, in questi casi, le caratteristiche di un disturbo più psicologico che fisico.
- Ne parliamo con la Dott.ssa Valeria Lussiana, psicologa e psicoterapeuta.
Come accennava sono psicologa e psicoterapeuta e attualmente collaboro con un’associazione torinese per garantire un accesso sostenibile alla salute.
Tratto disturbi legati alla gestione dell’aggressività, ansia e attacchi di panico, dipendenza affettiva, sindrome di Ulisse o di disadattamento, stress, disturbi dell’umore, coming out e orientamento sessuale, disturbi legati all’HPV e molto altro.
Cos’è l’HPV?
Il virus HPV è un virus a DNA che ha a che fare con la patologia dell’apparato genitale femminile, ma non solo. In particolare l’HPV è il fattore determinante nell’insorgenza del tumore al collo dell’utero, ma ne causa anche altri nell’apparato genitale, ano-genitale e della bocca, che interessano anche gli uomini. È considerata l’infezione, sessualmente trasmissibile, più diffusa al mondo ed una corretta informazione potrebbe indubbiamente contribuire ad una maggiore sensibilità sociale sul fenomeno, oltre che aumentare l’adesione ai piani di screening e vaccinali. Infine, l’HPV solleva tutto un corollario di difficoltà psicologiche che può compromettere sia l’efficacia delle modalità informative/comunicative, sia la riuscita dei piani di screening e vaccinali, sia la capacità della persona di far fronte al monitoraggio, senza eccessivi costi sul versante emotivo, relazionale e sessuale.
- Lei ha pubblicato un libro, il cui titolo è emblematico: “Breve guida al Papilloma Virus”. Ho letto il libro e devo ammettere che, oltre ad essere scritto con chiarezza e semplicità, ho trovato in esso, descritti sapientemente, tutti gli scenari possibili in cui si vengono a trovare i pazienti nei differenti percorsi dalla diagnosi allo screening. Quest’intervista nasce dal desiderio di carpire gli aspetti più intimi e i risvolti psicologici scatenati dall’infezione.
Il libro “Breve guida al Papilloma Virus” è acquistabile su Amazon:
- Ha già affrontato questo tema con i suoi pazienti?
Ho una fascia principale di pazienti che ha tra i 25 e i 35 anni, che è proprio la fascia d’età più alta per riscontri positivi all’HPV. Alcune pazienti hanno portato la diagnosi come tema in terapia, poiché la vivevano con sentimenti di paura, ansia e smarrimento. È capitato anche che alcuni pazienti maschi mi raccontassero l’esperienza che le loro compagne, e quindi la coppia, stava vivendo col Papilloma.
- Da dove è nata l’idea di scrivere sull’argomento?
Partendo da queste esperienze ho iniziato a informarmi sul Papilloma e, in collaborazione con la ginecologa torinese Chiara Perono Biacchiardi, ho dato vita alla “Breve guida al Papilloma Virus”, un libricino che raccoglie tutte le informazioni necessarie a orientarsi e approfondisce anche gli aspetti psicologici e la prevenzione del virus. La stesura della mia Breve guida, ha proprio come obiettivo, oltre a quello di diffondere informazione chiara ed esaustiva sul tema, anche quello di raccogliere fondi per la creazione di uno sportello di ascolto (in presenza o online) per tutti coloro che incontrano l’HPV e sentono di aver necessità di un aiuto nella gestione del suo impatto.
- E’ solo paura o predominano altri sentimenti come la vergogna e/o il senso di colpa per comportamenti inadeguati e/o scorretti nei confronti del partner?
Il Papilloma è un virus che può portarsi dietro degli strascichi psicologici molto complessi e sfaccettati. Finisce per toccare le tematiche più varie: dalla malattia, alla sessualità, all’immagine di sé, alla generatività, alla coppia, alla fedeltà. Gli studi concordano tutti nel dimostrare che la positività all’HPV, indipendentemente dalla presenza e dal livello delle lesioni, impatta la sfera psicologica delle persone e ne peggiora la qualità della vita. Tra le risposte emotive più comuni troviamo vergogna e imbarazzo (dove me lo sono preso?), senso di colpa e biasimo verso se stessi (avrei dovuto stare più attento/a? Potevo evitarlo? Ho contagiato qualcuno/a?), shock, ansia e paura (quindi mi verrà un tumore?), rabbia e sospetto (me l’ha passato quell’ex? Il mio partner mi ha tradito/a? Perché è capitato a me?). Oltre alla sfera psicologica c’è poi quella sessuale e relazionale che subisce dei contraccolpi. Possono insorgere modalità di evitamento del sesso o difficoltà di vario genere nei rapporti. Infine, c’è lo stress, perché la natura mutevole del virus richiede di sottoporsi a controlli cadenzati e bisogna imparare a convivere con il dubbio, le domande e l’incertezza. Si rende, cioè, necessario un continuo riadattamento psicologico da un appuntamento all’altro. Per questo, l’impatto psicosessuale del virus è stato talvolta paragonato a quello di una malattia cronica.
- L’essere uomo o donna, più o meno giovane, influenza il modo di affrontare una positività al test per l’HPV?
La letteratura indica che le giovani donne sono più vulnerabili all’impatto psicosociale delle complicanze correlate all’HPV: hanno una conoscenza più limitata del cancro cervicale e dell’infezione, sono più preoccupate della propria fertilità ed è per loro più disagevole parlare con gli operatori sanitari per ottenere informazioni. Quello che ho notato, è che la presenza di una relazione stabile, come quella che si instaura in una coppia adulta, al momento della diagnosi può fare la differenza. Per i più giovani è più difficile affrontare psicologicamente il virus, soprattutto perché si interrogano su come possono condurre la loro vita da single, dopo la diagnosi. Le domande e le ansie in questo caso sono spesso rivolte a temi quali: Dovrei continuare a fare sesso? Dovrei comunicarlo ad una nuova persona che incontro? E, sapendolo, qualcuno vorrà ancora avere rapporti con me? Avere rapporti con altre persone in relazioni non stabili aumenterà il rischio di nuove infezioni? E così via. In una relazione stabile, se non insorgono sospetti di infedeltà o rifiuti da parte del partner, si può contare su un maggior sostegno nell’attraversare l’iter di screening e si possono approntare delle strategie di protezione di coppia, almeno fino a quando non si potrà tornare a condurre una vita sessuale serena. Rispetto alla differenza uomo-donna non posso pronunciarmi. Essendo molto difficile testare gli uomini per l’HPV (e non essendoci per loro un iter di screening) è molto raro che siano consapevoli di avere il virus e che lo portino come tema in terapia.
- Quali sono le strategie di intervento che mette in atto?
In questa specifica situazione, lavorare solo sugli aspetti psicologici suscitati dalla diagnosi, senza conoscere approfonditamente il funzionamento del virus, risulta poco efficace se non fuorviante. E’ una di quelle situazioni in cui l’aspetto medico è talmente complesso e particolare che, per essere in grado di aiutare davvero, è necessario conoscerlo a fondo. Tutti gli studi concordano col dire che il fattore che influisce sull’avere o meno una brutta risposta emotiva all’infezione da HPV è il grado di conoscenza che si ha del virus e la possibilità di ricevere risposte a tutte le proprie domande. Non si deve avere la pretesa di sostituirsi ad un buon ginecologo che sappia comunicare in modo chiaro e accogliente, ma per lavorare bene è necessario sapere di cosa si parla e poter rinforzare le risposte mediche. Una volta delineate le preoccupazioni e le ansie che sono reali e giustificate ed eliminate quelle che erano solo frutto di mancata conoscenza, si passa alla parte più difficile: sviluppare strategie per convivere con l’incertezza “cronica”. Si lavora per raggiungere una “negoziazione”, che è del tutto soggettiva, tra percezione del rischio e della preoccupazione e necessità di condurre una vita normale.
- La modalità con cui viene comunicata la notizia di positività può fare la differenza? A questo proposito sarebbe utile istituire degli sportelli di ascolto, negli ambulatori ginecologici?
Assolutamente sì, la comunicazione della diagnosi fa la differenza. L’ansia iniziale viene proprio modulata dall’atteggiamento del medico: rassicurante vs trascurante nel chiarire le domande più critiche e nell’indirizzare la donna verso delle risorse valide. Incide anche il mezzo che si utilizza per comunicare la diagnosi: uno degli studi in letteratura ha infatti evidenziato come la comunicazione della diagnosi via lettera (come avviene in Piemonte) abbia l’effetto di aumentarne l’impatto negativo incrementando l’ansia, il dubbio, le domande. Le pazienti che ricevono la diagnosi a voce dal medico, invece, riportano minori difficoltà a gestire la notizia, perché possono esser supportate emotivamente e, raccogliere informazioni. Le rassicurazioni e il confronto sembrano essere necessari a più riprese, almeno fino ad un anno dalla diagnosi. Si rende necessario intervenire spesso per aiutare e facilitare l’adattamento, specialmente nelle donne che presentano stadi più avanzati di infezione. Istituire un ponte tra la psicologia e la ginecologia, a mio avviso, è proprio ciò che andrebbe fatto ed è ciò che mi spinge a lavorare sul tema. Poter comunicare la diagnosi alla presenza di uno psicologo o indirizzare la persona ad uno sportello mirato al quale possa affidare le proprie emozioni sarebbe certamente predittivo di un miglior adattamento.
- Qual è il modo migliore di informare i cittadini sull’importanza della prevenzione?
Nella stesura della “Breve guida al Papilloma virus” mi sono interrogata anche su questo e ho trovato un po’ di spunti utili. Internet e i media sono una fonte importantissima di informazioni e le donne vi si rivolgono nel 35% dei casi. Diventa cruciale, allora, sfruttare questi mezzi e disseminare materiale esplicativo chiaro su queste piattaforme, magari su canali ufficiali o autorevoli. Essendo una materia molto complessa, alcuni studi dimostrano la maggior efficacia di video, grafici e schede informative che utilizzino un linguaggio semplice. Sui social cominciano a spuntare anche in Italia dei canali e delle pagine che si dedicano al tema. Il vantaggio indubbio dei social è la creazione spontanea di una comunità virtuale che riunisce tutte le persone che stanno convivendo col virus o si sono appena scontrate con la diagnosi. Queste comunità permettono di confrontarsi, di ricevere informazioni dall’esperienza degli altri, di sentirsi meno soli.
- Cosa suggerisce per migliorare e potenziare le strategie di prevenzione?
Sicuramente la miglior prevenzione che possiamo attuare contro l’HPV deriva dallo screening e, ancor più, dalla vaccinazione. Purtroppo la copertura vaccinale per l’HPV in Italia è ancora ben lontana da quella prevista dal Piano Vaccinale Europeo. In media, si vaccina solo la metà delle ragazze aventi diritto e solo il 15% circa dei maschi. E’ noto che il vaccino anti-HPV si scontra con alcuni aspetti religiosi e culturali della società, perché può evocare un giudizio morale rispetto al comportamento sessuale. Per questo, in alcune campagne, si preferisce promuovere il vaccino come un mezzo per prevenire il cancro piuttosto che, un’infezione sessualmente trasmissibile, rendendolo più accettabile. Servono, dunque, buone strategie comunicative che tengano conto anche degli aspetti sociali o culturali. E’ necessario che i pediatri si impegnino nel promuovere il vaccino ai genitori e che gli operatori della salute vengano “addestrati” alla comunicazione sull’HPV.
- Sarebbe utile avviare, nelle scuole secondarie, delle campagne di informazione sui rischi a cui potrebbe esporre l’infezione da HPV, sensibilizzando gli adolescenti sull’importanza del vaccino come strumento di prevenzione?
Alla luce di quanto detto fin qui, penso che sarebbe non solo importantissimo ma risolutivo. Teniamo presente che se tutti fossimo vaccinati contro questo virus, l’HPV non circolerebbe più. E siccome la totalità dei tumori al collo dell’utero è legata ad una infezione da HPV, questo significherebbe debellare questo tipo di tumore (che è la seconda causa di mortalità nelle donne). Per questo, puntare sulle nuove generazioni e vaccinarle prima che diventino sessualmente attive è cruciale. Il vaccino si somministra alla coorte dei dodicenni, dunque una campagna di prevenzione va fatta già alle scuole medie e deve essere mirata anche a coinvolgere i genitori dei ragazzi. Tuttavia, non avendo ancora raggiunto dei numeri ottimali nella copertura vaccinale dei dodicenni, sarebbe senz’altro utile portare il tema anche nelle scuole superiori per far sì che i ragazzi più grandi siano consapevoli della presenza e dei rischi legati all’HPV.
- Le chiedo di concludere l’intervista con un consiglio a tutti i lettori
L’ elemento chiave è la conoscenza: conosci il tuo avversario. Significa che dobbiamo informarci, leggere, osservare, confrontarci, annotare tutto ciò che contribuisce al nostro senso di incertezza. Meno sappiamo di ciò che ci spaventa, più tendiamo a ingigantirlo e a dargli il potere di dominarci. Una volta che conosco bene il mio nemico, posso mettere a punto delle strategie per prevenirlo, affrontarlo e gestirlo se sarà necessario.
- Possiamo seguire fin da subito il consiglio della Dott.ssa Luissiana, leggendo la “Breve guida al Papilloma Virus” riceveremo un’informazione adeguata, che è il primo stadio per evitare ansia e stress, e contribuiremo ad una giusta causa: raccogliere fondi per la creazione di uno sportello di ascolto.
Ringrazio la Dott.ssa Luissiana. Chi fosse interessato a saperne di più sulla sua attività professionale può seguirla sul profilo FB al seguente link.
Immagine in evidenza di Andrea Piacquadio
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