Ricordando Einstein e Planck con Massimo Auci

Ricordando Einstein e Planck con Massimo Auci

Massimo Auci è un fisico e un ricercatore che per Benessere mag ha accettato di rispondere ad alcune domande sulle origini della fisica moderna e sulla passione per la ricerca scientifica

Il professor Auci è nato a Roma ma ha un importante legame con la città di Torino. A Torino si è laureato in Fisica Cosmica e presso la Scuola Internazionale Europea di Torino insegna fisica e matematica. Il professore è inoltre vicepresidente di Odisseo Space, che opera nella ricerca e formazione aerospaziale. Egli è anche divulgatore e collabora come editore scientifico con il portale di comunicazione scientifica Gravità Zero. Massimo Auci è tra i fondatori di Gravità Zero. Il professore è autore di libri di matematica, fisica e narrativa. Ricordo per la narrativa La Casa delle tartarughe.

Di seguito la mia intervista al professor Auci.

Professor Auci, in un’intervista rilasciata a Gravità Zero, lei parla della necessità di mettere d’accordo la fisica quantistica con la relatività.  La mia domanda: perché la quantistica non esclude la relatività di Einstein?

Grazie, perché avere del tempo per raccontare è anche un modo per riflettere, e questo è utile sia che si parli di scienza sia che si parli di scelte di vita.

A dire il vero, di interviste a Gravità Zero ne ho rilasciate negli anni un certo numero; penso che lei si riferisca all’ultima pubblicata a settembre dello scorso anno nella quale si faceva il punto dello stato dell’opera della ricerca in Astrofisica. È vero, io parlo spesso di questa strana compatibilità di teorie naturalmente incompatibili e spesso vengo anche criticato, del resto non sono stato l’unico a rilevare un problema tra Meccanica Quantistica e Relatività. Nel corso degli anni, numerosi fisici tra i quali Louis de Broglie, David Bohm, John Bell, solo per citarne alcuni, hanno sottolineato più volte la necessità di una revisione della Fisica proprio alla luce di certi risultati che evidenziano una incoerenza tra le descrizioni quantistica e relativistica. Vale la pena ricordare che proprio a settembre Roger Penrose in una intervista rilasciata in occasione di una conferenza fatta preso i Laboratori Nazionali di Frascati, a proposito della incompatibilità tra Relatività Generale e Meccanica Quantistica, ha affermato che un passo importante sarà cercare degli esperimenti in grado di mostrare come deve essere modificata la Meccanica Quantistica, per poterla finalmente rendere coerente con la Relatività Generale di Einstein, e non il viceversa, quindi sono in buona compagnia e mi sento soddisfatto.

La sua domanda “perché la quantistica non esclude la relatività” è importante e coinvolge l’intero universo fisico, idee, teorie anche molto complesse, idee nemmeno da tutti condivise, quindi una risposta non può che essere  articolata.

Cronologicamente parlando, il novecento inizia con la consapevolezza che i fenomeni elettrici e magnetici, fino alla fine del settecento ritenuti di differente natura, abbiano invece un’origine comune. Tutto perché James Clerk Maxwell riuscì nella seconda metà dell’ottocento a riordinare quel che già si sapeva di quei fenomeni, intuendo prima e dimostrando rigorosamente poi l’unità dell’elettromagnetismo. La luce e tutti i segnali radio sono onde elettromagnetiche e si propagano nel vuoto alla velocità di 300.000 km/s (circa). Proprio studiando la perfezione e l’eleganza dei fenomeni elettromagnetici, l’allora giovanissimo Albert Einstein rimase profondamente colpito e affascinato dal fatto che nonostante i mille sforzi che i fisici dell’epoca facevano per comprenderne i motivi, la luce viaggiasse sempre alla stessa velocità rispetto a qualunque osservatore. Come se dicessimo che una palla da tennis lanciata in avanti a 3 metri al secondo da un ciclista che viaggia a 2 metri al secondo, viaggia comunque e sempre a 3 metri al secondo invece che a 5.  Strano vero? Per la luce visibile, come per tutti i segnali elettromagnetici come le onde radio, la radiazione X atomica e la radiazione gamma nucleare è sempre così.

Il  comportamento della palla da tennis, appena descritto, mi porterebbe a pensare alla Relatività di Einstein. Cosa può, professore, dire a tal riguardo?

  Proprio questo strano comportamento suggerì ad Einstein le prime basi della teoria della Relatività Speciale che poi pubblicò nella sua formulazione definitiva nel 1905. Con la Relatività di Einstein, lo spazio e il tempo non sono più, come si pensava fossero con la meccanica di Galileo e Newton, distinti, ma formano una trama, una specie di tessuto spazio-temporale sensibile alla velocità relativa degli osservatori che si muovono al suo interno, cioè noi. Immaginiamo un’astronave con un viaggiatore interstellare. Più grande è la velocità dell’astronave rispetto alla base Terra, più il ritmo temporale dell’orologio del viaggiatore rispetto a quello della base Terra rallenta e le distanze che l’astronave deve percorrere si contraggono. Proprio questa combinazione di effetti, fa sì che la velocità della luce misurata da qualunque osservatore non cambi mai. Ora se consideriamo che le previsioni relativistiche sono state nel corso di questi 100 anni tutte verificate e che la Relatività di Einstein è di fatto entrata nella nostra vita di tutti i giorni con i GPS e le comunicazioni satellitari, perché avere dubbi sulla validità dei suoi fondamenti, quindi sul fatto che la luce è un’onda elettromagnetica quando poi anche ogni possibile esperimento lo conferma?

 Professore, cosa dire invece dell’ipotesi quantistica?

 La Meccanica Quantistica è un’altra teoria nata quasi contemporaneamente alla Relatività di Einstein, si è sviluppata a partire dagli studi di Max Planck nel 1900 e non senza i contributi di altri grandi Fisici come Louis de Broglie, Nils Bohr, Werner Heisenberg, Erwin Schrödiger e di tanti altri ancora.

L’ipotesi quantistica formulata da Planck aveva lo scopo di spiegare fenomeni altrimenti incomprensibili che si verificavano a livello degli scambi di energia tra radiazione elettromagnetica e materia. Inizialmente l’ipotesi quantistica non vede Einstein tra i suoi sostenitori, poi, non senza difficoltà, dovette però arrendersi all’evidenza sperimentale, accettando la visione quantistica per cui la luce, pur propagandosi come un’onda elettromagnetica, scambia energia con la materia attraverso quanti di energia chiamati fotoni, un fenomeno ben evidente a livello microscopico. Ironia della sorte. La dimostrazione della realtà fisica dell’ipotesi quantistica di Planck fu proprio Einstein a darla e per questo, e non per la Relatività, che allora era considerata una teoria complicata e scomoda, gli venne attribuito il Premio Nobel nel 1921. Quindi c’è poco da fare, tutti quei fenomeni che coinvolgono atomi e molecole ci dicono che la luce è quantizzata, cioè l’energia non è trasportata da onde che per loro natura non sono oggetti locali, ma da fotoni che sono invece per loro natura localizzati in regioni microscopiche dello spazio. Ecco il problema fondamentale: la luce ha una doppia natura, nel mondo macroscopico si comporta come un’onda e nel modo microscopico come un fotone. Questo principio fisico che, tanto per complicare le cose, è dimostrato estendersi a tutte le particelle subatomiche, come elettroni, protoni e ogni altra particella elementare, si chiama dualismo onda-particella ed è la base delle attuali super teorie Quantistiche Relativistiche.

 Professore, ha appena menzionato il dualismo onda-particella. La Bridge Theory è il giusto tramite o per l’appunto ponte per una visione unitaria che tenti di superare il dualismo?

  Parlando della luce, ormai quasi quattro generazioni di fisici si sono succedute, pochi ormai si preoccupano del perché del dualismo onda-particella; come fa la luce ad essere contemporaneamente un’onda e un fotone di luce? Come fa una particella ad essere un corpuscolo materiale associato ad un’onda? Quand’è e perché si verifica la differenziazione tra comportamento ondulatorio e comportamento particellare? Molti miei colleghi, fortunatamente non tutti, ritengono queste domande superflue perché vedono nel dualismo l’unica vera risposta. Ecco perché non possiamo separare la Quantistica dalla Relatività, per via del dualismo, se un protone si propaga come un onda ma si comporta anche come una particella materiale che è assimilabile ad una pallina di materia, viaggiando a velocità elevate prossime a quella della luce, ha bisogno della Relatività per essere descritta, ma ha anche bisogno di una descrizione ondulatoria tipica della Meccanica Quantistica, in cui le particelle si propagano nello spazio come onde. Non dobbiamo a parer mio adagiarci ad accettare il dualismo senza cercare di capire perché descrizioni tanto differenti e soprattutto concettualmente incompatibili funzionano comunque così bene insieme. Per questo ho dedicato il mio lavoro di ricerca alla Bridge Theory, una teoria che tenta di superare il dualismo proponendo una visione unificante delle differenti teorie.

 Professor Auci, si può affermare che per le leggi quantistiche, si adotti un punto di osservazione diverso rispetto a quello relativistico?

 Dato che la fisica non può fare a meno della doppia descrizione ondulatoria e corpuscolare della luce e della materia, le teorie sviluppate utilizzano tutte un mix di relatività quando parliamo di particelle come corpuscoli materiali, per esempio delle particelle che attraversando un rivelatore tracciando la loro traiettoria e di onde di probabilità quando descriviamo la loro propagazione come una sovrapposizione di stati possibili senza però rivelarle. Quindi le due teorie non si escludono perché descrivono lo stesso oggetto fisico in situazioni differenti, quindi non da due punti di osservazione differenti ma in due modi sinergici.

Parlando, di descrizione duale, si può attribuire alla descrizione quantistica ondulatoria la peculiarità tipica della narrazione onnisciente?

 Se per descrizione onnisciente intende la capacità di un’onda quantistica di descrivere ogni possibile evento inerente al futuro di una data particella, quindi di contenere in sé tutto quanto può probabilisticamente accadere alla particella la risposta è sì, finché io non rivelo la particella con un sistema di misura, lei è descritta da un’onda di probabilità che contiene tutti i futuri possibili. Quando la riveliamo, in base a come, quando e dove, la funzione d’onda collassa realizzandosi in una particella materiale in un certo stato di energia. È la storia del famoso povero gatto di Schrödiger. Se un gatto si trova chiuso “inavvertitamente” in una scatola di piombo dove un meccanismo legato al decadimento probabilistico di un nucleo atomico rompe una fiala di cianuro, dopo un certo tempo il gatto sarà vivo o morto? La vita del gatto è associata alla funzione d’onda del nucleo atomico che contiene entrambi gli eventi: il nucleo decade nel tempo T, il nucleo non decade nel tempo T. In questo senso la meccanica quantistica è onnisciente, non perché sappiamo quel che accadrà ma perché contiene in sé tutti i possibili futuri.

Professor Auci, il precursore della quantistica, Einstein, ha sofferto dell’impossibilità di conoscere il mistero della vita o lo ha accettato di buon grado?

Per quanto ho detto prima Einstein non lo metterei tra i precursori della Meccanica Quantistica, come precursori penserei più a Max Planck e a Louis de Broglie, ad ogni modo la risposta è no. Non ha sofferto e di questo sono sicuro. Chi fa questo mestiere dedicandosi alla ricerca è talmente preso dal proprio lavoro che ogni difficoltà è una nuova sfida. Guai a pensare di mettere il cappuccio alla penna e dire ora ho finito perché so veramente tutto quello che avrei voluto sapere. Ogni ricercatore è contento di quel che ha fatto e di quel che dovrà ancora fare, anche se fosse un microscopico contributo è sempre un punto di partenza per qualcun altro, la curiosità, la passione per la ricerca, aiuta a vivere. La sofferenza comunque esiste, ma la inserirei più nell’ambito di alcune patologie depressive cha a volte colpiscono le persone che passano la propria esistenza a pensare dimenticandosi del mondo reale. Non è certo il caso di Einstein che amava la compagnia femminile e l’intrattenimento di ogni tipo e poi dedicava ogni altro momento della sua vita a pensare. Einstein realizzava degli esperimenti mentali, con la sola fantasia costruiva esperimenti rigorosi che non avevano bisogno di alcun laboratorio per essere realizzati, i cosiddetti gedankenexperiment o esperimenti mentali, nessun costo e sempre funzionali al suo lavoro. Quindi scommetterei che il mistero irrisolto nella sua vita fosse proprio lo scopo della sua vita.

A proposito di Meccanica Quantistica ed Elettromagnetismo, può spiegarci il significato di un’equazione conosciuta da molti di noi come equazione dell’amore? Mi riferisco all’equazione di Dirac e al fascino che questa esercita sulla psiche di buona parte di noi.

Direi che qui rischio di farmi odiare sfatando una leggenda metropolitana. Sì ho letto qua e là in siti scientificamente poco attendibili dell’idea dell’equazione di Dirac come equazione dell’amore. Direi che è una falsa attribuzione. Cerco di farmi capire. Il termine “Equazione dell’Amore” è stato coniato non so da chi per sottintendere il legame indissolubile che l’equazione di Dirac, l’unica equazione della fisica ad essere realmente relativistica e quantistica al tempo stesso, descriverebbe tra due particelle. Alcuni riferendosi a questo misterioso legame parlano di “Entanglement Quantistico” come di una unione indissolubile tra persone che si incontrano e si amano e non si separano mai più. Purtroppo tutto questo non è vero. Meglio, l’entanglement è un fenomeno fisico reale, ed è vero che due particelle o due fotoni possono essere indissolubilmente correlati, ma questo è ancora, per quanto sperimentalmente accertato e fattibile, un mistero non spiegato a livello fisico. Nel senso che sono stati fatti dei tentativi per descrivere il fenomeno, io stesso ho proposto con la Bridge Theory una spiegazione che si basa sull’interazione elettromagnetica, ma l’equazione di Dirac, per quanto fisicamente e graficamente affascinante e potente, non c’entra nulla. L’equazione descrive la propagazione di una particella appartenente ad una particolare famiglia, quella dei fermioni. Per esempio un elettrone, un protone o un quark. Cosa può dirci questa equazione di simile a quel che lei mi chiede? Ci dice che esistono particelle e antiparticelle, ovvero materia e antimateria sempre creata in coppie di carica indissolubili, queste si possono creare e annichilare sempre in coppia e quando le allontaniamo l’una dall’altra rimangono “entangled”, ovvero indissolubilmente legate, vale quindi l’entanglement quantistico di cui parlavamo prima ma tra “coppie di particelle” che potremmo impropriamente chiamare per diritto di nascita “gemelle” e non “innamorate”.

Professor Auci, parlando di elettromagnetismo, non si può non parlare della “Bridge Theory” presentata nel suo libro: Oltre la frontiera quantistica “Una storia appassionante “. Le chiedo di trasmetterci la passione che le ha dato l’input per scrivere questo libro, spiegandoci come un libro di fisica possa anche diventare libro di narrativa.

Sono passati più di dieci anni da quando pubblicai quel libro, la sfida è stata usare le parole per raccontare la crisi della fisica tra ottocento e novecento, una storia nella quale il mio lavoro che avrebbe potuto anche non interessare nessuno, compariva come una storia di vita con tutta la passione che nel bene e nel male, tra soddisfazioni e insoddisfazioni, da sempre accompagna la curiosità di chi vuol conoscere e capire.

Vede, quella del ricercatore può essere una professione, ma può essere anche molto di più, una vera e propria passione. Lei mi dirà, perché, non può essere tutt’e due? Certo che lo può, di solito questo è quanto si augurano tutti coloro che intraprendono questa carriera, il massimo è fare ricerca in un campo che ti coinvolge e ti appassiona fino a catturare tutta la tua vita e questo non è molto frequente.

Così è stato per me, io ho cominciato a fare ricerca in Astronomia Neutrinica, un campo dell’Astronomia sperimentale che si occupa dei collassi gravitazionali di stelle giunte a fine evoluzione. Un settore che mi piaceva e soprattutto mi interessava ma non mi appassionava veramente, poi c’era la questione di essere in un grosso gruppo di ricerca sperimentale, lì c’è competizione, lavori e lavori e capita anche di non firmare l’articolo del lavoro al quale hai lavorato, però lo firma qualcuno che fino al giorno prima non sapevi nemmeno che stesse lavorando con te. Questi sono i veri misteri della ricerca. Come ho scritto nel libro ad un certo punto ho iniziato a seguire alcune fantasie che avevo avuto fin da studente, piano piano queste fantasie divennero idee promettenti ma decisamente rivoluzionarie proprio perché per certi versi conservatrici e perché a prima vista avrebbero potuto sembrare un tentativo di negare la fisica standard, e lì, forse perché quel lavoro era un puro prodotto della mia mente, forse perché la presi come una sfida, la passione mi catturò definitivamente costandomi però la carriera universitaria. La Bridge Theory di oggi nega il dualismo come principio fondamentale della natura perché lo spiega come un qualunque fenomeno fisico. Il fatto che questa teoria sia di stampo riduzionista, riportando tutto a pochi fenomeni semplici senza rifarsi ad interpretazioni autorevoli nella storia della fisica quantistica del novecento, come quelle di Heisenberg e di Schrödinger, la rende poco appetibile perché pericolosa, espone a rischio di critica chi la dovesse prendere in considerazione.

Io penso che ciò che veramente conta è costruire una Fisica con delle basi concettuali solide sulle quali un giorno si potrà costruire una teoria unificata e completa. Per arrivare alla fisica di oggi ci sono voluti cinquecento anni di duro lavoro, molti pensano di essere arrivati oggi al capolinea ma è chiaro che non è così, sono tanti i segnali che ci indicano che siamo in presenza di uno stallo. Occorre capire ancora molte cose e la Bridge Theory è un tentativo di dare una risposta a molte di queste domande anche con successo, però si sa che il mio parere conta poco. Purtroppo il vero difetto di questa teoria è proprio il suo pregio, evidenziare le basi comuni di due teorie come la Relatività e la fisica Quantistica, basi che molti sono assolutamente convinti che esistano solo nell’evidenza sperimentale.

 A proposito di passione, sostegno della volontà umana, appassionarsi alle scienze fisiche e matematiche, quale utilità apporta alla nostra vita?

Appassionarsi a qualunque cosa non è una scelta e non è nemmeno una caratteristica genetica scritta nel DNA, è qualcosa che improvvisamente capita come una malattia, basta poco: un documentario visto in televisione, una frase di un professore, un coinvolgimento inaspettato, un bel voto, sono piccoli contagi e la tua vita è segnata per sempre. La passione diventa assoluta, travolgente, coinvolgente e ti può anche far soffrire ma ne vale sempre la pena perché sono tutte sensazioni bellissime. Quando c’è passione per qualcosa non si molla e non sono certo le difficoltà a farti cambiare idea o a fermarti. Quindi se si ha passione per la scienza, non necessariamente per la Fisica o la Matematica, ogni giorno vivi un’avventura, attraversi terre sconosciute, metti alla prova il tuo intuito, la tua forza di volontà e la tua razionalità con il solo obiettivo di arrivare a conoscere qualcosa in più di ieri.  Questo è sicuramente utile per noi e per gli altri. Vede, la mia esperienza mi ha permesso di trasmettere molto spesso inavvertitamente e felicemente curiosità e interesse per la scienza ai miei studenti, a volte anche piccole curiosità si sono trasformate in brillanti carriere, non solo e non necessariamente in campo scientifico. Noi abbiamo una grande responsabilità nei confronti dei nostri studenti, non sempre insegnare è abbastanza, occorre anche riuscire a trasmettere qualcosa e se si ama ciò che si insegna, loro se ne accorgono e la passione è contagiosa.

Professor Auci, quale regalo ha ricevuto in cambio della fatica che richiedono studi così impegnativi?

Dedicarsi alla conoscenza gratifica sempre e comunque, non importa se diventi qualcuno o rimani nessuno, la consapevolezza di aver contribuito con il tuo lavoro a qualcosa è sempre appagante. Ad ogni modo penso che lei si riferisca a qualcosa di più personale. Devo dire che la curiosità mi ha sempre spinto a trovare soluzioni a qualunque problema, un divertimento, un passatempo, un antidepressivo in molti momenti anche bui della vita.

 Professor Auci, intuendo, sia stato l’interesse scientifico a governare i suoi sogni da bambino, tornando indietro nel tempo, vorrebbe sognare ancora la scienza?

Ha intuito bene, potendo scegliere non cambierei nulla dei miei sogni di bambino, soprattutto perché tornando indietro potrei ricominciare da capo senza sapere come va a finire.

 Ringrazio il professor Auci per il tempo concesso per l’intervista e per l’entusiasmo e l’incisività che hanno accompagnato le sue risposte.

 

Antonella Domenica Amato

Vivo a Catania. Mi interessano gli approfondimenti scientifici e mi occupo di divulgazione scientifica.
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